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Anche i ritratti vivono il sogno di questa

atmosfera, paiono sempre figure uscite da

una composizione, conservano il ricordo d’una

vicenda più complessa e più vasta; anche gli

oggetti, i

pezzi

delle nature morte paiono

da poco aver smesso l’uso delle mani del­

l'uomo, sempre si raccordano al racconto

d'un tempo di favola di molti personaggi:

siamo in pieno clima di vita spirituale delle

cose, insomma, che dà all’arte il tono migliore.

Proprio quello che si potrebbe dire dei

parti­

colari

delle grandi pitture, ciascuno dei quali

può esser un quadro a sè stante, ma che

giova all’insieme quando il tutto sia com­

posto. Grandi pitture d’una volta, citate

così, in modo vago, senza voler fare dei nomi

troppo impressionanti, per non condurre que­

sti brevi cenni alla polemica; benché sia

sempre lecito pensare che anche Tiepolo e

Veronese ai loro tempi erano giovani e pit­

tori nuovi: ma non vogliamo giovarci degli

accostamenti e dei confronti eruditi, che sono

la maniera più facile di fare della critica

d’arte. Tanto per render l’idea, pensiamo un

momento all’evoluzione della pittura a cui

abbiamo assistito negli ultimi tempi, in que­

sto prima timido poi più facile ritorno alla

tradizione — e grande tradizione — e si vedrà

come un accostamento di questo genere,

sopratutto se giustificato dagli esempi, sia

non soltanto fruttuoso agli effetti della cul­

tura, ma anche a quelli del rinnovarsi e

migliorare della pittura attuale intesa come

movimento, naturalmente, e non come feno­

meno individuale.

Dopo l’esperimento della « scodella » pos­

siamo anche passare a quello del grande

affresco o della tela di metri 3 x 5 , dove ci

sia posto per molte figure, dove il pittore sia

alio stesso tempo compositore e miniatore,

dove accanto al nudo perfetto sogghigni

una testa di pagliaccio e si stenda un ricco

drappeggio di nuvole e di stoffe: precisa-

mente quello che è successo per pitture

ormai serie e decorose di qualche secolo fa,

che suscitavano ire non poche tra i buongu­

stai dell’epoca per motivi personali ed anche

artistici.

Ma questa passione, questa gioia di riem­

pire grandi spazi bianchi con figure e oggetti,

oltre al richiedere una certa forza immagi­

nativa ed esecutiva, vuol dir pure amore

dell’arte intesa anche come mestiere, cosa

assai buona perchè tien lontani dai cerebra­

lismi e dai compromessi più o meno intel­

lettuali.

gt1.

Sana e giovane pittura, autonoma quanto

all’ispirazione ed all’esecuzione, vissuta e ripre­

sa attraverso le molte esperienze dell’acca­

demia e della vita, e sopratutto nel raccogli­

mento dello studio, dove manovrando tende

e scale si provvede a riempire gli spazi con

le tre dimensioni che la pittura ha avuto in

eredità dalla magia.

Un giorno, nel suo studio protetto dal

panorama della collina, con Superga che ha

voluto rivivere in molte sue opere, mentre

era tutto affaccendato in questo grosso lavoro

di manovra e saliscendi, Politi mi diceva

col suo sorriso un po’ velato: «E poi mi piace

questo dover trafficare per dipingere: è molto

bello dipingere sulla scala. Ma è ancor più

bello dipingere sull’impalcatura ».

E questo mi richiamò alla mente il tempo

grande della pittura, quando l’edificio senza

l'opera del pittore non poteva esser compiuto,

e figure grandiose collocate in alto, come

conviene a creature d’origine divina, vigi­

lavano sulle umane faccende ed ogni tanto

richiamavano gli uomini al bello, anche a

mezzo d’un negozio o d'un impegno, per

non lasciar disperdere la scintilla della fede

nell'arte.

PINO BAVA