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reto »? Come non si sarebbe chiamata (dato che

la si volesse distinguere dalle altre Alessandrie)

piuttosto

Alessandria del

(o

di) Rovereto,

o

delle roveri

, o in qualunque altro più simpatico

modo?

Chè

si trattava d'una città solenne­

mente l'ondata con intenti di sfida contro

nemici potenti, per decreto d'una nobilissima

Lega, che l'aveva chiamata superbamente

Alessandria, e non poteva umiliarla sottono­

minandola

delle paludi.

Senza dire che il

nome di Rovereto indica un precedente bosco

di querce, e quindi un emergere, un differen­

ziarsi di quella località proprio dalle paludi

circostanti. Come non lo potevano dare a

« Nizza delle paglie » per la semplice ragione

che paludi, là, non ve n’erano presso nè

lontano.

Mi sono indugiato un po' sulle paludi ales­

sandrine d’un tempo, perchè contribuiscono

a farci vedere come anche l'ipotesi opposta

— quella cioè secondo cui l'appellativo di «Pa­

glia » proviene dalla fecondità in grano del

terreno circostante — non dev’essere presa

più sul serio di quella paludense. Nel sec. X II

il territorio su cui sorse Alessandria era dunque

indifferentemente, a còmodo, una palude... o

un granaio di biade? (Era probabilmente un

leggero rilievo abitato, tra Bormida e Tanaro,

con tracce dell'antico

rovereto;

e, questo, in

mezzo, sì, a una campagna fertilissima, ma

tale soltanto di là dai due fiumi, cioè là dove

non era minacciata — e il

rovereto

lo era

dappresso — dalle paludi).

Ma poi quando mai

pàlea,

« paglia , indicò

grano?

Paglia indicò sempre, materialmente,

il residuo del grano battuto, gli steli e le

spiche

senza

grano; metaforicamente, la parte

vistosa, ma di scarto, di fronte alla sostanza.

Nell’ipotesi accennate avremmo avuto perciò,

non un’impropria

Alessandria della paglia

, ma

un’esplicita e propizissima Alessandria

delle

biade

,

delle messi.

Dunque?

Dunque gli studiosi del problema sono pas­

sati accanto alla vera soluzione senza accor­

gersene. Per coonestare la soluzione della

paglia

uguale

grano

, sono ricorsi al famoso

dizionario del latino medievale del Du Cange,

e hanno trovato: «

Pàlea:

specie di presta­

zione che veniva esatta in manipoli di paglia ».

E prt.duce do« umenti del 11V6 e del 1253.

E non hanno veduto che la

Pàlea

dei docu­

menti alessandrini non poteva alludere al

grano, e nemmeno alla paglia materialmente,

ma proprio alla prestazione giuridica cui il

Du Cange accenna.

Evidentemente il nome di

Pàlea

allude al

modo, con cui da tutto il territorio conter­

mine — in larghissimo senso, e forse non sol­

tanto da Novi a \ oghera e da Tortona a

Casale — si contribuì alla costruzione della

nuova città, cioè con una tassazione collettiva

calcolata in manipoli di paglia

(pàlea, pàlee):

contribuzione che potè tanto essere versata

veramente in paglia e in altri materiali d’uso,

quanto in opere o in denaro, o anche in

forma mista, secondo che si trattava di vicini

0 di lontani. Nè è da escludere che, nel primo

e nell'ultimo caso, molta di codesta paglia

fosse direttamente adoperata non soltanto per

1 tetti, ma per la formazione di quei muri di

paglia e fango con cui sino a ieri si fabbrica­

vano, ad esempio, i casoni nella bassa pado­

vana e nella laguna veneta.

Questa soluzione ha, tra l'altro, il van­

taggio di salvare, se non la vecchia etimo­

logia storica di

Alessandria della paglia

, al­

meno la sostanza della leggenda — senza

ledere la storia nè la topografia nè la topo­

nomastica.

Che parte almeno della tassazione, la cui

unità di misura veniva stabilita in manipoli

di paglia, venisse contribuita in moneta, o in

altri generi e prestazioni, sembra poi somma­

mente probabile: non soltanto per la caratte­

ristica usuale di tali tassazioni medievali di

essere convertibili in denaro appunto o in

altri generi e prestazioni, calcolate in base al

valore dell'unità di misura da cui la

tàlea

o

tan a

prendeva il nome; ma perchè buona parte

della Lega Lombarda dovette in qualche

modo contribuirvi, e i lontani non potevano

contribuire che in denaro o in materiali poco

voluminosi. Che si sia scelto poi, per la tassa­

zione, la forma e il nome della

pàlea

, piuttosto

che di un altro prodotto ugualmente utile al

sorgere di una città improvvisata, si può spie­

gare facilmente col fatto che l'umile paglia si

prestava singolarmente per una tassazione di

valore costante nel tempo e nello spazio (nep­

pure il denaro, diverso allora da città a città

e di valore mutabilissimo, vi si prestava),

mentre, d'altra parte, essa paglia era il pro­

dotto più copioso del territorio alessandrino-

padano, e in ogni caso — diversamente dal

grano — quello che poteva suscitare meno

disagio in chi, per la povertà o la vicinanza,

si trovasse nella condizione di doverlo versare

in natura.

A simile

tàlea

volontaria a base di

pàlea

è

verosimile sia dovuta anche la denominazione

già ricordata di Nizza

palearum.

« delle pagUe »,

sorta senilmente per decreto degli Astigiani

contro gb Alessandrini, e la forma della contri­

buzione versata all'uopo sotto nome di

pàlea

fu forse scelta col proposito di affermare che

era in gioco quella stessa fermissima volontà

collettiva (astigiana) di risurrezione e di rivin­

cita, che già aveva animato i costruttori della

nemica Alessandria.

MNOO CK IW ILO

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