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do agli altri suoi film, dobbiamo ricono­

scere che Laughton ha saputo ogni volta

trasformarsi, creando una maschera di­

versa e dimostrando nuove possibilità del

suo temperamento artistico. Crediamo

che questa sia la migliore dimostrazione

che possa dare un attore della ricchezza

dei suoi mezzi.

l ’er 11 vagabondo dell'isola ». l’ul­

timo suo film — che è tratto da un ro­

manzo di Sommerset Maugham — ab­

biamo dovuto ripetere la stessa constata­

zione. L’austerità o la perversità quasi

invasata di altri suoi personaggi,

è

qui

sostituita da una disordinata e se.inzo­

nata vita di fannullone gaudente ed

ubriacone. Questo curioso impasto di

degradazione e di malizia è reso da Laugh-

ton con una ricchezza di toni eccezio­

nali. Basti pensare a certi sguardi obliqui

dei suoi occhi di una mobilità anor­

male, alle Libbra molli e carnose che

dànno al viso un’espressione mutevolis-

sima. ai movimenti pesanti o impensa­

tamente agili del suo corpo grasso, molle

e tozzo!

Vicino a laughton c’è poco posto j>er

«li altri interpreti. L i sorella del missio­

nario. interpretata da Klsa Lanchester,

riesce tuttavia a prendere rilievo, anche

se a prezzo di una recitazione in alcuni

momenti alquanto caricata, e trova ac­

centi interessanti ed acuti specìalmente

verso la tini del tilm, quando, rinchiusi

con il vagaliondo nella capanna per Li

minaccia degli indigeni, si avvicina a lui

non più {» r il fanatico impulso di redi­

merlo ma i*r comprenderlo ed amarlo.

• IL PO ST IG L IONE D ELLA S T E P P A

di G. Ucicky.

Peccato che manchino a questo tilm

che ha raccolto nel settembre scorso

a Venezia uno schietto, meritato suc­

cesso — quei tocchi lievi, di umorismo

o di poesia non importa, che. contrap-

p«*sti ai cupi toni drammatici, dànno a

questi ultimi maggiore risalto ed al film

nel suo complesso un sapore più gra­

devole.

A parte questo appunto. Ucicky. nella

sua riduzione, per la verità molto libera,

di questa novella di Puskin che non è

al suo primo contatto con lo schermo

cinematografico, ha infatti realizzato un

film eccellente, forte e sentito, nel quale

sentimenti e caratteri sono resi in modo

ottimo anche se talora di tonalità ecces­

sivamente marcata disturbano lo spet­

tatore e spezzano l’azione.

Nel complesso 1risultati ottenuti sono

pero cospicui e }>arte del mento va olk-

scenografie lielli-sime di Schlichting e

dell'Herlth.

Ht-iruh George, a volte tempestoso a

'"'Ite lacrimoso e mansueto, è. a nostro

gusto, presentato con tratti troppo mar­

cati. iV-fenamo la recitazione di Htidr

Krahl una l>unja ricca di siane» e di

inte1utente espressività.

camp

T E A

«

IL R E POVERO

»

di Gino Rocca.

Questa fiaba, uno degli ultimi lavori

di Gino Rocca, presentata al pubblico

torinese poco dopo l'annuncio della sua

morte, ha assunto quasi il significato di

una commemorazione, di un tributo di

rimpianto reso allo scrittore, al giorna­

lista, all’autore di «Chi cco ». di *Sior

Tita paron ». di «Se- no 1 xe mati ». ili

«Terzo amante »e di tante altre delicate,

fantasiose, talvolta paradossali ma sempre

intelligentemente concepite produzioni

teatrali. Nè migliore omaggio alla sua

memoria ed al suo talento poteva esservi

del successo, vivo e pieno riportato da

«

11

re povero ». Anche in questa com­

media infatti emerge potente e persua­

sivi» il puro idealismo, la fantasia che

spazia perspicace e misurata in sfere di

nobiltà ammonitrice, che improntano

molta della produzione teatrale dello

scrittore scomparso.

Halma

V i l i

è l’intelligente, paterno

sovrano di un piccolo, povero regno di

pastori, di pescatori, di contadini. Regno

felice finché la patriarcale, tradizionalista

vita dei sudditi non è minacciata dalla

corruzione di un gruppo di finanzieri

americani clic- scopre, nelle viscere della

terra pacifica, ricchezze sino allora igno­

rate. La forza, avida di conquista, del

denaro si insinua, intacca, sconvolge uo­

mini e principi intorno ad Halma

V i l i

e sino a lui, all'uomo saggio, al monarca

che è legato ai suoi sudditi da un vincolo

spirituale ancor più che- da un patto

politico, vorrebbe giungere. La vittoria

dell'oro che Tempsey, uno dei finan­

zieri n«-lla sua cieca, insaziabile ambi­

zione profonde a piene mani, sembra

certa. Esercito, ministri, dignitari hanno

ceduto; lo stesso patrimonio privato del

re è perduto, ma Halma

V i l i

accetta

coraggiosamente la lotta. Allontana da

sè Silvia, la gentile, amorosa figlia di

Tempsey che, al monarca che prima

d'allora non ha mai amato, ha offerto

un affetto devoto e sta per donargli un

nglio. l'allontana perchè nella battaglia

deve essere con lui solo il figlio legittimo,

l'erede, perchè al popolo egli deve appa­

rire così, nella purezza della sua mis­

sione divina. Halma vince. Quando

Tempsey in un cieco impulso di orgoglio

crede di strappargli il potere, di elimi­

narlo privandolo dell'ultima trincea che

gli è rimasta, la reggia, il re poveri

rifiuta il denaro propostogli per l'estremo

mercato e va fiduc ioso verso 1 suoi sud­

diti perchè sa die di un regno si può

con l'oro diventare padroni, ma che

signori di un popolo si è e si rimane

per virtù dei legami

dello

spirito, per la

forza, che il danaro non compra, della

tradizione, della virtù e dell'amore.

In

modo parti* olare in quest'ultima

scena emerge La figura, tracciata con

T R 0

toni ricchissimi, di Halma, si rivela

l’immaginosa spiritualità della fiaba.

Ruggeri ha impersonato il re con ecce­

zionale maestria, plasmandone la figura

con una recitazione splendida, con toni

di voce, atteggiamenti, espressioni misu­

rate e sapienti.

Ottima anche Emes Zacconi anche se

il personaggio di Silvia manca di una

compiuta destinazione e prende vita solo

in pochi momenti, tuttavia sinceri.

.

LA NO STR A E T À - di G. C. i tola.

I jx rsonaggi dell'ultima commedia ili

Viola sono facilmente definibili, ("è il

ricco industriale che viene dalla gavetta,

l'artefice di se stesso, l'uomo che, ormai

sorretto dai milioni, non ammette osta­

coli ai suoi piani, c e la gran dama au­

stera. rigida e compassata, dalle espres­

sioni e dalla mentalità d ’altri tempi, ci

sono il giovanotto e la signorina moder­

nissimi. l'uno sportivo, esuberante e

catoncello, l’altra franca e spigliata, li­

bera da convenzioni e pregiudizi, e,

finalmente, c'è l’avvocato alla moda, il

principe del foro, dalle tempie gngie. la

parola fluida e suadente con l'animo,

contro ogni previsione, ancora aperto

ai palpiti dell'amore. Tutta questa gente

per tacere degli altri che fanno da con­

torno. è largamente sufficiente per india­

stire l'intreccio di una commedia. Ag­

giungeteci una buona dose di mestiere

e. come sfondo, la morale — giovanotti,

guai a voi se- vi accorgerete un giorno di

avere perso il turno per sposarvi chè.

allora, a quell'altra età, non sarete più

che dei testimoni della vita altrui —

ed eccovi una divertente commedia di

sicuro successo. Infatti, anche per mento

di Evi Maltagliati, di Cimara e Miglian,

applausi e applausi del pubblico.

• IL M I T O D I A R M A N D O

.

di Gino

Valori.

A proposito della trama di questa com­

media, parlare di trovata è troppo. Ap­

pena. semmai, una trovatina. Ma. quando

si riesce a contornarla di uno stile bnoso,

di un gioco scenico abile e sciolto e si

sa dare ai personaggi qualc he felice pen­

nellata di colore, anche una trovatina

può consentire di mettere insieme una

commedia divertente e gustosa. « Il mito

di Armando ». anche se non ha turbato

1 nostn sonni prospettandoci problemi

insondati e non ha impegnato la nostra

fantasia in ardite ascensioni tra perso­

naggi psicologie’amen te complessi, ci ha

divertiti. È questo un multato tut-

t altro che disprezzabile, il mento del

quale è dovuto, nella giusta parte, ani he

agli interpreti l'afhatatissima compagnia

Maltagliati - Cimara - Miglian diretta da

Ettore Giannini.

camp.

U