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innanzi un breve motto sfolgora in tutta la

sua grandezza simbolica: <« L'amore vince ogni

cosa . Queste semplici parole ricordanti una

eterna verità, rituflfano il vostro spirito in

un'atmosfera di oblio e di pace.

Ma quale aspro risveglio vi attende alla

roccaforte di Verres! Il contrasto con il ca­

stello di Issogne non potrebbe essere più stri­

dente. Gli spalti, gli anfratti della roccia,

le cannoniere e le feritoie, le mura titaniche,

drizzantisi suirenorme dado in un miracolo di

perfezione architettonica: la scala fantastica

del cortile, le vaste sale della milizia, i gran­

dissimi archi, tutto par rievocare terribili vi­

sioni di guerra: scalpiccii dei palafrenieri e

delle chinee. urla disperate degli assalitori e

imprecazioni rabbiose dei vinti sommerse dal­

l'assordante rombo della mischia. Torbidi vi­

sioni di guerra: è Ibleto. irto d'armi, che guida

con la sua sagacia, trionfa con la spada, e trae

la casata dei Challant al vertice della sua gloria.

Ho scritto queste poche cose, così, come il

cuore e la memoria me l'han suggerite: perchè

amo la terra d'Aosta, perchè credo nella bontà

dell'alpe. In quei due castelli mi piace raffigu­

rare due modi dello spirito umano, due facce

dell'anima.

No. La montagna non si viola. Che un signo­

rotto quattrocentesco rechi dalle terre del sole

il suo dono di poesia e di arte, o che una

troupe

esotica profani con effluvi di benzina

e con rombi di motori la

Regina viarum.

la

montagna non si viola. V’è in lei qualcosa di

profondo e d'antico, che ha un senso e un

carattere augusto, quasi di santità incorrut*

libile. Passano i sogni galanti e lieti, passano

le epiche vicende: ella sta.

Oltrepassate il palazzotto cortese d'issogne,

l'aspra rudezza del castello di Verres; e attra­

verso le forre morbide di verde e cupe d'acqua,

intravvedete i clivi che s'innalzano a grado a

grado, i picchi che si profilano taglienti nella

serenità del cielo: la montagna si palesa. La

valle centrale è ormai un piccolo solco, ma

piccolo tanto che quasi non si scorge più.

Un paesino vi attende: quattro case, un mu-

ricciolo, un povero demente seduto sulle pietre

che dondola il capo. Dietro, improvviso, abba*

gliante si apre il ghiacciaio. La sua fulgida

luce rosata si riverbera negli occhi atoni del

cretino: questa umile creatura di Dio, che ne

guarda un'altra più grande, più misteriosa,

più alta. Anche nei suoi occhi passa un soffio

segreto della divinità.

La montagna è sbocciata veramente quassù,

è salita dai blocchi ferrigni delle convalli, fino

ad aprirsi in alto come si schiude un paradiso.

ROOOLFO ARATA