

POLITICA GRANARIA IN PIEMONTE DOPO LA RESTAURAZIONE
L’ABOLIZIONE DELLE "TASSE , , ANNONARIE
I. - Rara deroga ai principi comuni è quella
alla quale assistiamo per mezzo del Mani*
festo del Vicariato di Torino del 12 maggio
1820. col quale furono abolite le « tasse »
sulle paste da fabbricarsi in questa città.
Gravi dovettero essere le lagnanze dei fab
bricanti di paste e troppo manifeste le spere
quazioni provocate dalle « tasse » se si venne
nella decisione di abolire la vecchia usanza
che invece continuava a perdurare nelle altre
regioni degli Stati di terraferma.
Dichiarava infatti il Manifesto che « la
varietà introdottasi nella qualità delle paste
di semola e di farina, che si fanno in questa
città, rendendo ormai difficile il sottoporle
tutte ad una proporzionata tassa, S. M.
sempre intenta a togliere ogni incaglio alla
perfezione di qualsivoglia utile ramo d'indu
stria e a porre così i fabbricatori di questa
città in grado di gareggiare con quelli di
qualunque altra nell'esportazione dei loro
prodotti, volle che la moderazione nei prezzi
prodotta dalla tassa a cui andavano smora
soggetti i generi sovrindicati, venisse d ’or
innanzi assicurata dalla concorrenza di un
maggior numero di fabbricatori ».
Pare che questo Manifesto fosse opera
personale del Re Vittorio Emanuele il quale,
a mezzo dei nuovi Ministri, mirava ad una
diversa politica economica interna, o, comun
que, nulla lasciava di intentato onde accon
tentare e produttori e consumatori.
Furono gli eventi politici che lo distolsero
in parte dalle cure della pubblica ammini
strazione, sì da indurlo — più tardi — a
cessare l'opera iniziata per scendere dal trono
onde tener fede ad una antica promessa alle
potenze europee.
Indubbiamente a questa fede nella concor
renza non dovette essere alieno lo spirito di
uomini i quali, come il Brignole e Prospero
Balbo. influenzarono l'opera legislativa di
Vittorio Emanuele I.
La tendenza verso una maggior libertà
annonaria non era nuova, chè un po' ovunque
si sperimentavano nuovi indirizzi politici.
Non pochi furono gli economisti e gli ammi
nistratori che si occuparono del problema.
• Non
è
possibile — scriveva ad esempio
d
18
ottobre
1828
in una relazione il Vice
Presidente della Camera di Commercio di
Genova Cav. Luigi Morro — sperare un presso
equo dei grani se non si ottiene dalla libertà
intiera e perfetta del commercio di questo
genere; nè si prevengono gli effetti della cupi
digia, se non procurando che il numero dei
venditori sia il massimo possibile; in tutti
i tempi le fami furono sempre più frequenti
e desolatrici ove maggior furono i regola
menti, le pene, i legami e le mete.
« Il volgo schiamazzando, e sollecitando
rigori contro i venditori dei commestibili e
chiedendo ad alte grida il ribassamento dei
prezzi, non ha mai fatto che allontanare le
persone più probe da un tal commercio,
lasciarlo in man le meno delicate, e attirare
così la carestia ».
Era sempre
- Toscana dei Gran Duchi
Leopoldo e G. Ferdinando che gli uomini
di studio e gli amministratori piemontesi
volgevano lo sguardo; colà il principio della
libera concorrenza fu il caposaldo della poli
tica annonaria, mentre non va dimenticato
come Leopoldo I di Toscana, e del resto anche
Carlo Emanuele III, inviassero note perso
nalità a Parigi, ove, alla Corte di Luigi XV ,
furono influenzate dallo spirito fisiocratico,
ricevendo nuove impressioni che tradussero
poi in studi e pubblicazioni.
Sicché il Poggi e il Paoletti affermano come
in quel Ducato, instaurato il libero regime
granario, si godesse sempre, eccetto negli
anni 1763-1764, di una discreta abbondanza,
mentre ancora ottimi risultati si ottennero
allorché Leopoldo « spezzò i minuti vincoli
che inceppavano l'arte del panettiere ».
È pure da ricordarsi, tra i fautori di una
libertà annonaria, il Conte Cerniti, Primo
Presidente del Senato e Capo dell'Annona,
personalità forse dagli storici troppo dimen
ticata, il quale lottando contro le tradizioni
del Borgarelli e del Vidua, e degli altri con*
siglieri del Re, ricordava ognora che « ogni
altro mezzo coattivo o vincolante che volesse
adottarsi in simile materia » non poteva « a
meno di ravvisarlo contrario ai buoni prin
cipi di pubblica economia e producente sem
pre un effetto contrario a quello che si ha
di mira ».
Riesaminando i risultati ottenuti in Toscana
dall'abolizione di simili « tasse % scriveva il
De rCscarène alcuni anni più tardi, che
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