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le costellazioni possono ancora cambiare, l’Orsa

perdere una stella e Andromeda aumentarne

due, come per retrocedere alle origini magiche

dell’astronomia che simili permutazioni ren-

dano concepibili.

In effetti questi personaggi disposti in corteo

con aulicità cesaro-papista, appartengono a

un ordine astrale. Ruotano in eterno secondo

gesti prestabiliti, entro orbite vaste e auto­

nome, su fondi di luce così densa che gocciola

a grumi. I loro incontri provocano congiun­

ture planetarie che proiettano sulla terra fatti

straordinari, annunci profetici. Le matronali

Madonne ingemmate che siedono con pesanti

tonfi di broccati e d ’oro o avanzano con dignità

imperiosa, i monumentali angeli dai volti di

fiamma e vesti di un candore abbacinante, i

sacerdoti biblici grandeggianti al pari di pi­

lastri tra le colonnine di un portichetto che

ritma i loro passi e ne ingigantisce le propor­

zioni, perfino le madri che portano alla strage

gli innocenti senza un grido eppure dispera­

tissime nello scarmigliato aggruppamento,

tutti hanno una calma fatale, una grave e

concentrata predeterminazione, uno ieratico,

processionale incedere di esseri che sono ormai

da considerare parole e atti di un rito.

Tuttavia non escono dalla realtà. Intorno

ad essi sopravvive il senso dello spazio, sebbene

privo di richiami paesistici, ridotto a sem­

plice profondità atmosferica, a congiungimenti

primordiali fra gli strati del suolo e quelli

fluttuanti dell'aria. Agli stessi criteri di sem­

plificazione e di essenzialità, salvando la coe­

renza del rilievo e della prospettiva, si unifor­

mano le architetture: costruzioni quasi di sole

colonne e frontoni, città tutte di templi ele­

vate su mura altissime fino a toccare il cielo,

enormi monili, chiusi scrigni, ove non gli uo­

mini possono abitare ma i loro pensieri di

devozione depostivi in sembianza di incorrut­

tibili gioielli. Una natura che non ricorda

ormai che resistenza dell'infinito e la sparti­

zione degli elementi; edifici accessibili soltanto

per celebrarvi funzioni sacre; re e filosofi di

un mondo in declino che si imbattono in gio­

vani angeli, ai quali appena da qualche anno

sono spuntate le ali (nei mosaici della navata

non l'avevano ancora) assistendo a eventi pro­

digiosi in una corte terrestre così favolosa­

mente ricca da essere un anticipo del regno

promesso. È questa elementare solennità di

idealizzazione calata in apparenze tanto sicure

e perfette che attua l'accostamento al sopran­

naturale per evocazione liturgica.

L'attua con un cerimoniale di ufficialità pa­

latina, però romano non bizantino. La cor­

rente artistica cortigiana formatasi in tempi

costantiniani, qui entra in una fase che po­

trebbe dirai pontificia, senza passare per Bi­

ssano. 0 nolo

ri

passa per alami spanti illu­

strativi ricavati dal comune fondo ellenistico,

per particolarità di vestiario che possono at­

tribuirsi a posteriori interpolazioni. Occor­

rendo addentrarci in un esame filologico, non

influssi bizantini, in arrivo, dovremmo ricer­

care in questo mosaico, bensì quelli che da

esso si dipartono per costituire le premesse e

le anticipazioni dell'arte giustinianea.

Comincia, sul grande palinsesto, di scrit­

tura lapidea, l'imbalsamazione iconografica

delle figure che deve sottrarle a ogni altera­

zione. Perciò aspirano, per quanto è possibile,

a essere tratte fuori dall'aria. Sugli sfondi

non più capaci di vegetare e fiorire, come lungo

la navata ancora accadeva, forse anche perchè

la crosta si è indurita accogliendo altro oro,

esse si staccano con vigore, però attratte verso

una superficie vitrea davanti alla quale si

arresteranno. Stanno nello spazio ma con un

che di troppo avanzato, di troppo incombente.

Inoltre si allungano, accennano a comporsi in

una duratura immobilità.

L'origine di tali mutamenti, spesso attribuiti

a un principio di stilizzazione bizantina, è

invece da ricercare nell'interna logica di questa

arte allorché, pa- . dal racconto degli epi­

sodi biblici all'esaltazione di una professione

di fede, sentì il bisogno di volgere i moduli

narrativi a una idealizzata monumentalità. Le

persone drammatiche divennero immagini li­

riche. I fatti della storia sacra si mutarono in

rituale mistico. Non si trattava tanto di

esporre la vita di Gesù, come già quella dei

patriarchi, bensì di officiare una Teofania, di

ritrarre cioè l'apparire, il manifestarsi della

divinità. Era un dire messa per figure musive.

Nè a caso, forse, manca proprio la scena della

natività come quella che avrebbe accentuata-

mente umanizzato il mistero del nascere di­

vino che si voleva trasferire in un clima tra­

scendente. E non a torto alcuni interpreti

hanno voluto ricercare nel mosaico l'esalta­

zione del Concilio di Efeso, sebbene le prove

addotte siano tutt'altro che irrefutabili, unica

prova essendo lo spirito stesso della rappre­

sentazione concepita come la formulazione di

una preghiera, che può bene essere quella di

Cirillo: « Oh tu che nel grembo hai portato

l'infinito ». E se non quella altra che sia, ma

sempre preghiera e inno, con impeto addi­

rittura polemico che essi avevano prima di

irrigidirsi in una ripetizione consuetudinaria.

Senza uscire dal tessuto della romanità più

di Quanto avvenga negli altri mosaici della

basilica liberiana, siano o no anteriori di un

secolo, il rapimento della preghiera, le esigenze

liturgiche, gli intenti dottrinali, l'aulicità ce-

saro-papista accentratasi intono al

teismo cristiano, inducono necessariamente

a

intensificare le spinte antirealiste e

antipo­

etiche.

La

frontalità

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Quanto piè