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quale avrebbe potuto essere la sua. se la sventura

non l’avesse colpita. Fila sente talora tutta la li­

mitatezza di quella felicità che tanto ardentemente

sognava un giorni», a cui con tanto strazio ha ri­

nunciato. e si rattrista sembrandole di avere im­

molato una ben |»o\era cosa. Ma poi gioisce pen­

sando che non la grandezza del dono importa, ma

10 slancio di generosità e di amore col quale viene

offerto, ed è lieta di aver rinunciato alla terrena

felicità prima di conoscere la insufficienza e la va­

nità infinita.

(Vna nuora esperienza...

Qualche rosa ancora...

Occorre che LIla

Iter comprendere appieno la sua etti-azione inte­

riore. l'adesione... al proprio destino).

Da qualche giorno Matilde non è la stessa: in

questo precoce inizio di primavera già. nelle ore

del pomeriggio, soffia l'aria tepida e profumata:

Matilde ha aperto i vetri della finestra presso la

quale lavora di consueto e respira a lungo questa

aria piena di profumi indistinti e di ingannevole

te|M»re. I n languore strano, un senso di smarri­

mento. di vuoto, la soggiogano. I fantasmi della fe­

licità che ella aveva cacciato lontano da sè, da sì

lungo tempo, le si presentano con insistenza alla

mente; come in un tempo ormai remoto, le sue

dita restano a lungo inoperose, e il suo sguardo

taga laggiù ove il «ole comincia a indugiare prima

di cadere nel lontano orizzonte. Coppie di fore­

stieri si spingono spesso nella piazzetta ad ammi­

rare il panorama, la fontauina. la chiesa. Matilde

11 segue con desiderio indistinto di

cose

ignote, esi­

stenze sconosciute. « Qualcosa puoi tu vedere, che

qui non vegga? Eccoti il cielo e la terra e tutti gli

elementi, ora di questi pure sono fatte tutte le

cose ». Ma queste parole che tante volte le hanno

dato la calma, una pace indescrivibile, risuonano

ora a vuoto nel suo spirito stanco. A volte pare che

tutto l'edifìcio della sua vita venga meno... avvez­

za a dominarsi ella non si dà per vinta, nè si mera­

viglia; dove ella ha letto un giorno: « la santità vai

più della pace »? e non sa ella forse che secondo

la parola di Gesù il regno dei Cieli soffre violenza?

Alla fine‘T> di una di queste giornate irrequiete

Matilde siede come di solito a cena con lo zio. Il

viso aperto di Don Carlo è animato da una espres­

sione insolita, forse di ansia, forse di gioia. Egli

guarda spesso timidamente Matilde come se volesse

dirle qualcosa e non osasse. Finalmente sorride con

imbarazzo e avanza:

« Sai. Matilde? Oggi nella farmacia grande han­

no parlato di te ».

Matilde alza i placidi occhi :

« Davvero? ».

c Già — risponde lo zio. e affretta le sue parole

come per impedirle di interromperlo. — Mi hanno

detto che un ginvane medico giunto da poco in pae-

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se ha sentito parlare di te, si è interessato molto

al tuo caso c ha detto che forse non hai tentato tutte

le cure conosciute, in specie quella moderna sulla

quale ora si fa grande assegnamento nei casi simili

al tut». e che insomma tu potresti forse ancora gua­

rire ».

Lena è in ascolto e approva ron gli ticchi e con

i cenni mentre il suo viso buono si illumina di gioia.

Matilde scuote leggermente il capo:

«Oh zio... lei crede...?».

« Io non credo nulla, Matilde, io non so nulla,

ma so che bisogna pur fidarsi di chi ne sa più di

noi. che è un dovere anche che lo devi a te stessa,

a noi, al Signore che può servirsi della scienza per

ridarti alfine la salute ».

Matilde ascolta commossa poi soggiunge :

« Va bene, zio. faccia «pianto crede meglio ».

Lo zio felice si affretta a cambiare discorso come

per impedirle di pentirsi del suo condenso, e per

quella sera nessuno accenna più a ciò che più riem­

pie il cuore di tutti.

Ma la calma di Matilde è apparente: giunta nel­

la sua stanzetta, dopo avere congedato I^ena che

ogni sera l'aiuta a svestirsi, ella indugia a lungo

prima di dormire, abbandonandosi con voluttà ai

sogni, ai fantasmi che negli scorsi giorni ha cer­

cato di cacciare lungi da sè. Ecco il |»erchè di quel

senso di attesa, di irrequietezza che l'agitava. La

gioventù, la bellezza, la vita che tornavano! Ella

preme le mani sul suo cuore che batte violentemen­

te. \isioni lontane di gioia, di feste, le appaiono...

Lentamente i suoi pensieri si velano di sonno...

ella si vede in una sala illuminata con sfarzo, fra

gruppi di gente che sorride, seguita da sguardi am­

mirativi. da parole lusinghiere... Di un tratto la

visione scompare. Matilde si desta, siede sul letto,

volge gli occhi intorno per la sua cameretta debol­

mente rischiarata dal lume che arde dinanzi alla

immagine del Salvatore. Ella ha sognato ahimè!

Eppure qualche cosa di vero... le parole dello zio...

il suo cuore riprende a battere precipitosamente...

ed ecco, ecco che ella incontra d'improvviso lo

sguardo del Redentore che dalla immagine a lei

cara, sembra fissarla dolcemente. « Anche tu — le

dice quello sguardo — anche tu vuoi abbandonar­

mi? Anche tu vuoi lasciarmi solo, come gli Apo­

stoli nei giorni della Passione, come tante anime

rhe erano mie e che il mondo mi ha strappate, an­

che tu mi abbandonerai dopo aver sentito il nulla

di tutte le cose umane, dopo aver gustato le divine

ebbrezze della mia grazia, del mio amore? ».

Matilde non *a staccare lo sguardo da quei dolci

occhi socchiusi.

Ma erro che l'onda d'in«ana tristezza. l'onda di

illusioni e di ebbrezze rhe in questi ultimi giorni

la inralzano, si allontana da lei. rome marosi che

si infrangono contro le verdi e placide rive di una

i*nla beata. Ella t<»rna in se stessa, una Iure abba­

gliante. una gioia ardente intade il >

ih

» spirito; la­

crime di «nave pentimento, di giubilo le rigano il

volto :