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poliamo dire che iniziò quivi la .«ua carriera scien­

tifica nel 1808, appena diciassettenne, quando fu se­

gnalato il primo tra i premiati del Liceo di quella

città. Si laureò poi in scienze matematiche all'Uni-

versità di Pavia nel 1811, appena ventenne. Seb­

bene così giovane, rimase nell'Ateneo pavese insie­

me co' suoi maestri due anni ancora come uditore

per perfezionarsi nelle scienze matematiche e fisi­

che, mentre già pubblicava lavori grandemente lo­

dati e ammirati da' suoi celebri professori, tra cui

era Alessandro Volta.

Nel 1813, a soli 22 anni, fu nominato a Milano as­

sistente all‘Osservatorio astronomico di Brera, e per

i suoi meriti scientifici fu fatto socio della Società

Italiana dei Quaranta, fondata sulla fine del '700,

la quale si componeva di quaranta grandi scienziati

italiani.

Nel 1827 la sua fama aveva già varcato l'oceano,

e la Repubblica Argentina lo nominò ingegnere

astronomo, assessore dell'Ufficio topografico, e poi

professore di calcolo differenziale e fisica. Di là pas­

sò airUniversità di Corfù, e finalmente nel 1841

alla famosa Università di Pisa. Quivi insegnò con

grande onore fino al 1863, quando pose termine alla

sua preziosa vita.

Il suo valore di scienziato u> è legato a numerose

opere di cui non posso ricordare qui che alcune fra

le più celebri.

Mentre, ancora giovanissimo, era assistente all'U-

niversità di Milano, pubblicò una « Nuova analisi

del problema di determinare le orbite delle come­

te », opera che a quei tempi segnò un vero progresso

scientifico in quanto veniva a semplificare molto la

risoluzione di un problema, fino allora risoluto solo

in modo assai complicato. Infatti, la soluzione ri­

gorosa del problema di determinare il moto di un

astro, conduceva ad equazioni finali intrattabili. La

soluzione che si conosceva, nonostante gli sforzi di

tanti illustri geometri tra i quali Gauss, conduceva

ad una soluzione di così alto grado che non am­

metteva soluzione algebrica.

Il Mossotti giunse invece a dare equazioni sem­

plici di lv grado che egli stesso applicò allo studio

dell'Orbita della famosa cometa del 1759.

Nel 1835, mentre si trovava a Torino, pubblicò

la sua opera più conosciuta « Sulle forze che rego­

lano la costituzione interna dei corpi », dedicandola

al suo amico Giovanni Plana, celebre astronomo.

In quest'opera il Mossotti riuscì a dimostrare che

fra le molecole di un corpo si esercita un'azione di

attrazione o di repulsione, e ciò secondo le leggi del

grande Newton.

Quest'opera, tradotta in diverse lingue, attrasse

sul Mossotti l'attenzione di tutti i più grandi dotti

del suo tempo e i principi in essa contenuti vennero

dal Mossotti stesso applicati nella spiegazione di al­

cuni importanti fenomeni elettrici e luminosi.

Altre opere assai pregiate del Mossotti sono: le

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« Lezioni di fisica matematica », la « Nuova teoria

degli strumenti ottici », nel quale libro spiega il fun­

zionamento dei cannocchiali e della loro costruzio­

ne, le « Lezioni di Meccanica razionale ». E' spe­

cialmente dalla lettura di quest'ultima opera del

Mossotti, splendida per rigore scientifico e genialità,

che si può comprendere quale contributo abbia por­

tato agli studi delle matematiche applicate, l'illustre

scienziato. Per queste opere a cui ho accennato e

per moltissime altre, tutte di valore indiscutibile,

il nome del Mossotti è ben degno di figurare accanto

a quelli dei grandi italiani che nel secolo XIX die­

dero alla scienza ed all'umanità il contributo ine­

stimabile del loro genio.

Il secolo del Mossotti, infatti, iniziatosi con la

grande creazione umana, la Pila di Volta, si chiu­

deva, ancora nel nome di un italiano, con la più

sbalorditiva applicazione dell'epoca nostra: la ra­

diotelegrafia di Marconi.

In quegli anni fortunosi il mondo fu veramente

soggiogato dal genio italico.

Non voglio tacere di Carlo Mateucci a cui è do­

vuta la legge sulle elettrolisi, e a cui spetta il me­

rito di aver avuto per primo nel 1849 l'idea di tra­

smettere a distanza la voce, mediante le correnti

elettriche; di Antonio Pacinotti, l'esecutore di quel­

la che egli chiama modestamente Macchina elettro-

magnetica, e che altro non era che la dinamo di cui

egli esplicitamente aveva riconosciuto la perfetta

reciprocità.

Ma purtroppo l'Italia allora non possedeva offi­

cine meccaniche capaci di costruire le macchine

di Pacinotti ed ebbe quindi buon gioco un tale Ze-

nobbio Granirne, capo officina in una fabbrica di

Parigi, che nel 1871 costruì le macchine di Paci-

notti e le lanciò come sue.

Proviamo quindi un profondo senso di sdegno

quando, anche in libri italiani, vediamo attribuito a

stranieri il frutto dell'ingegno e del lavoro italiano:

ad un italiano spetta dunque il merito di aver dato

inizio all'industria elettrica. E per ritornare al Mos­

sotti, si deve dire che il grande Maxwell, l'autore

lldea teoria eletromagnetica della luce, fondò i suoi

studi sulle idee espresse dal Mossotti intorno alla

costituzione dei dielettrici.

E, come è tradizione dei grandi ingegni italiani,

O. F. Mossotti, insieme colla scienza, onorò anche la

poesia; al nostro più grande poeta — Dante — con­

sacrò parte della sua attività, per cercare sollievo,

come dice lui, alla mente affaticata. Interpretò con

genialità e con perizia degne della sua mente, tanto

perspicace, -tre passi molto discussi della

Divina

Commedia

. i quali sono del c. II e del IX del Pur­

gatorio, e del c. XXVI del Paradiso.

Le sue osservazioni sono

c o n

pregevoli che hanno

meritato di essere accolte nella Collezione di Opu­

scoli danteschi diretta dal conte Passerini, edita in

Città dì Castello.

Ma non meno nobile e non meno preziosa fa l'o­

pera di Mossotti come cittadino e come patriotta.

Gli anni «Iella sua giovinezza, quelli che passa ani