

Lecondizioni finanziarie dei Piemonte edi Torino inparticolare
ala Restaurazione dei Regno Sardo
Le condizioni delle finanze pubbliche, alla
Restaurazione del Regno Sardo, erano pres
soché disperate nè eravi la speranza di porvi
pronto rimedio.
Gli allarmi del 1815 del Generale delle
Finanze, non erano ingiustificati: vuote le
casse dello Stato, oberanti i debiti, enormi
le spese, spogliati gli arsenali, sprovvisti i
magazzini, restii agli impieghi i capitali, sic
ché il prestito del 50 % sull’imposizione fon
diaria ordinato con R. Editto 29 marzo 1815
che avrebbe dovuto rendere circa sette od
otto milioni di lire piemontesi rese neppure
tre milioni (
1
).
Se non che non bisogna dimenticare come
le condizioni finanziarie fossero gravemente
compromesse dagli scarsi raccolti e dalle
>pese degli eserciti austriaci, in quanto, come
dichiarava Vittorio Emanuele I :
«les revenus
n'entrent pas dans les raisses
,
car nos amis
mangent terriblement
» (
2
).
Che i <•nostri amici » austriaci mangias
sero terribilmente lo ricaviamo altresì da
un'altra lettera del Re al fratello, in cui
dichiarava che al marzo 1816, epoca della
uscita degli eserciti di Mettermeli dal Pie
monte, trenta milioni erano costate le truppe
austrìache alle povere, già esauste, finanze
piemontesi (3).
Le Ragionerìe civiche di Torino ci infor
mano altresì che « ascendono a più di L. 3 mila
in cadun giorno le spese che la città è in obbligo
di fare per la manutenzione dei Sigg. Ufficiali
Austriaci » (4).
Era specialmente sentita in Piemonte la
differenza di trattamento fiscale nei riguardi
delle altre regioni e in particolar modo della
Contea di Nizza, la quale non fu sottoposta
all’imprestito e neppure ad alcuna gabella
spettante al R. Erario. Il che faceva dire al
Lencisa che gli antichi sistemi di parzialità
ritornarono in auge, andandosi così contro la
massima economica della uguaglianza dei tri*
l>uti (5).
Svolse opera particolarmente saggia il Bri-
gnole (
6
) allorché /ittorìo Emanuele I , nei
suoi principi riformatori, troppo presto tron
cati, istituì con R. P. 12 marzo 1816 il Mini
stero delle Finanze.
Ardua dovette essere l’opera ricostruttrice,
dacché il diletto di n fid e di organizzazione,
la confusione nelle varie amministrazioni, la
mancanza di impiegati rendeva faticosissimo
il lavoro di ordinamento. Né va dimenticato
come, ad aumentare il formalismo e la con
fusione burocratica, intervenisse una dannosa
creazione di intendenze generali d’Azienda le
quali formavano quasi altrettanti doppioni
coi Ministeri. Sicché complicati meccanismi
reggevano l’amministrazione e farraginose in
terferenze ed ingerenze caratterizzavano i
rapporti tra l’amministrazione centrale e la
periferica.
L ’Editto del 14 dicembre 1818, che fornì
la base per
icgolamentazione in materia
di imposta — asserisce il Lencisa — «<portò
l’impronta dell’infelice complicazione carat
teristica di quell’epoca e vi si scorse la mano
degli agenti chiamati allora a riordinare i
diversi rami della amministrazione pubblica
involta dal 1814 in poi in una confusione
difficile a descriversi <>(7).
Confusione alla quale il Brignole cominciò
a provvedere sollecitando le R. P. del 31
marzo 1817 e 20 gennaio 1818 con le quali
iniziò l’improba fatica del riordinamento del
l’amministrazione.
Già precedentemente il R. Biglietto dell’ 11
marzo 1817, istituente il Consiglio di Confe
renza, testifica la volontà del Re verso una
unità di indirizzo amministrativo, merito par
ticolare del Vallesa (
8
).
In uno di questi Consigli, e più precisamente
in quello del 29 ottobre 1817 S. M. dichiarò
« intendere che non s’aggravino maggiormente
i popoli, che sia bensì con miglior maniera
provveduto a ciò che si conseguisca l’effetto
di pareggiar l’uscita coll’entrata dello Stato
senza ometter l’obbligo di pagar il debito
arretrato » (9).
A salvaguardare e frenare le dannose e
inopportune spese si stabilì poi, il 26 novembre
1817, che « niuna uscita di danaro si facesse
senza che l’ordine partisse dal Ministro delle
Finanze » (10).
Si cercò di ridurre le spese, specialmente
quelle inerenti alla Marina, e, sebbene colpe
vole incuria vi fosse in coloro che avrebbero
dovuto, collaborando col Ministro, studiare
i migliori ordinamenti esteri, si cercò di addi»
venire, in quanto le circostanae In pernwt-
tevano, ad una riorranizzazionr che in iu iw