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Iwnchi della scuola, al liceo di Novara e all'univer-

sita di Pavia, furono pii anni in cui l'Italia era già

ridestata, come dissi, dal grido potente di Vittorio

Alfieri, ed era moralmente rieducata al senso del

giusto e del retto, dalla nuova e vigorosa poesia del

Parini, I odiatore dell'ozio e dell'ignoranza dei no­

bili, I esaltatore della bellezza e della nobiltà del

lavoro, specialmente di quello del contadino nella

salubrità morale e fisica della campagna. Insieme

con questi due poeti, avevano potentemente contri­

buito a rinnovare l'Italia, filosofi eminenti come il

Komagnosi, grandi economisti e giuristi come Ce­

sare Beccaria, Mario Pagano, Gaetano Filangeri;

cosicché la nostra Patria già marciava decisamente

!>ulla via del suo Risorgimento. Allora divampò l'in­

cendio della rivoluzione francese e folgorò la me­

teora napoleonica che, se per un istante abbaglia­

rono i nostri giovani frementi di generosi spiriti li-

Iterali, attirandone l'ammirazione e la simpatia —

si legga il feroce « Trionfo della libertà » del gio-

\ane Manzoni — li lasciarono poi subito perplessi

e duhitosi che la libertà dovesse essere così sangui­

naria e così poco o nulla rispettosa dei diritti della

libertà stessa; e fecero loro comprendere che la li-

l»ertà deve avere come principio metodo e scopo la

giustizia, secondo il concetto romano e cristiano —

'i legga « Marzo 1821 » dello stesso Manzoni, con­

vertito nel 1810, dalla filosofia rivoluzionaria irre­

ligiosa francese, al puro e pieno cattolicismo ro­

mano.

La rivoluzione francese e Napoleone importarono

in Italia una nuova servitù, tanto più dannosa quan­

to più affascinante nel mentito fulgore dei più santi

principi umanitari.

« Liberté. egalité, i frances in vitura e nun a

pé»: ecco come l'intelligente popolo italiano bollò

la tronfia ipocrisia francese.

E ciò avevano lien compreso Vittorio Alfieri e

l go Foscolo, come poi compresero Vincenzo Cuoco

e Alessandro Manzoni, i quali affermarono che la

Rivoluzione Italiana non è un gioco di parole.

Fu l i Rivoluzione del nostro Risorgimento un

fulgido mirabile fiume irruente contro ogni ingiù-

'tizia contro ogni tirannide, esterna ed interna.

Vi parteciparono uomini di ogni ordine sociale,

di ogni età, e specialmente le poderose forze del

' olontarismo dei professori e degli studenti, sem­

pre primi, come oggi, ad accorrere là dove brilla

la luce dell'ideale.

O. F. Mossotti fu tra costoro. Egli anelò sem­

pre alla libertà e all'indipendenza dell'Italia, e

cercò sempre l'amicizia e la compagnia dei libe­

rali, pur rifuggendo dall'iscriversi a società segrete.

L'occhiuta polizia austriaca lo vigilava attenta­

mente, finché, dopo i famosi processi Pellico, Ma-

roucelli, procedendosi nel '23 contro un liberale,

trovò tra le carte di questo cospiratore anche

3

nome del Mossotti. Egli fu condannato ad uscire

di Lombardia; e<l inrnuasnrià per Ini non »■!— rute

l'esilio, ma una vera persecuzione, di cui ebbe a

soffrire per molti anni. Riparatosi a Novara, fu

subito dal Governo Sardo ammonito ad uscire, per­

ché ricercato dall'Austria. Riparò nella Svizzera, e

poi a Londra, dove fece parte di quella nobilissima

schiera di esuli italiani, incominciata da Ugo Fo­

scolo, che il Mossotti trovò là nel triste declinare

della sua vita randagia.

Da Londra a Buenos Aires; di qui, dove sempre

sospirò il ritorno in Italia, fu poi chiamato all'Os-

senatorio di Bologna.

Ebbe la gioia di rientrare nella sua cara Italia,

ma dovette subito soffrire un'amara delusione, un

profondo dolore, perché il Governo Pontificio, es­

sendo venuto a conoscere che il Mossotti era un

condannato dall'Austria per i moti del '20-'23, gli

negò il posto a cui egli stesso l'aveva chiamato. Il

Mossotti soffrì in silenzio per la Patria! Si stabilì

a Torino, dove il Governo di Carlo Alberto lo la­

sciò indisturbato, poiché in Piemonte la libertà

andava già facendo passi da gigante. In Torino pub­

blicò, come abbiamo detto, l'opera sua principale.

Poi, dopo altri quattro anni di lontananza dall'Ita­

lia, anni che t « insegnando all'Università di

Corfù, fu chiamato a Pisa dal Granduca di To­

scana, dietro insistenza di insigni scienziati. Così

vinceva finalmente le persecuzioni politiche, ritor­

nando nella sua cara Italia.

In Pisa rifulsero tutte le sue doti di studioso, di

insegnante, di cittadino e di patriotta, mentre ma­

turavano i destini d'Italia.

Concessi gli Statuti nel febbraio-marzo del 1848,

scoppiata la rivolta popolare contro gli Austriaci

nel Lombardo-Veneto, Carlo Alberto, all'invito dei

Milanesi, passa il Ticino per dar principio alla pri­

ma guerra d'indipendenza italiana. Si uniscono a

Carlo Alberto il Granduca di Toscana, Pio IX ed

il Re di Napoli, costringendo gli Austriaci a riti­

rarsi nelle quattro fortezze di Mantova, Peschiera,

Verona e Legnago. Da ogni parte d'Italia accorrono

volontari; Garibaldi vola dalle lontane Americhe.

La guerra si svolge di vittoria in vittoria; ma il

Papa, poiché l'Austria minaccia con uno scisma re­

ligioso di staccarsi da Roma, richiama i suoi sol­

dati ed imitano il suo triste esempio il Re di Na­

poli e il Granduca di Toscana.

Si produce sul fronte italiano grande confusione.

Rndetxky ne approfitta per passare dalla difensiva

all'offensiva e furioso punta su Goito, persuaso di

giungere improvviso sul grosso del nostro esercito.

Già si compiace della grande vittoria che sta per

stringere in pugno, ma un blocco granitico di petti

invincibili gli sbarra la marcia a Curtatone e a Mon­

tanara. E' la falange dei 5000 volontari toscani, per

la più parte studenti. Il Battaglione universitario

ha per ufficiali professori, tutti celebri nella loro

disciplina, quali il Pivia, il Burri, il Pilla, 3 Mon­

tanelli, ed ha per comandante in cnpo O. F. Mas*

sotti, che, sebbene toccata i 57 anni, aveva accet­

tato con entusiasmo 3 grave incarico.

Grandinane le palle defl'aastriaca rabbia che