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divano ndl amore quotidiano, clic 1 compagni di

scuola c gli amici della fertile giovinezza amavano

tra lo scherzo e il rispetto. Infatti così, come tra i

familiari

e

i coetanei della vita borghese, Duccio passò

tra i compagni di guerra che lo amarono e lo vene­

rarono, che I»' sentivano vicinissimo, la mano nella

mano, e allo stesso tempo tanto più alto di loro:

ma non perchè ne fossero sempre distanziati, bensì

perchè essi

stessi

procedessero a qucH'altezza. dietro

la luce dei suoi occhi, dietro la rapida decisione del

suo gesto e la calma pacificatrice del suo sorriso.

Scrisse ancora la Madre:

..........

Qual futuro brilla

in fli occhi ,i

tt', i/ual

v ir id i scintillii

n il/uiniiii! la fronti

<

m f h affilimi

iliut!

tuo

sorriso miti ci riposa?

C.’lu lo ha conosciuto e penetrato, o soltanto avvi­

cinati'. sente ancora quel fascino che stabiliva dalluno

agli altri una calda confidenza e una fiducia incondizio­

nata. Proprio perchè in Duccio si univano i poh d’ un

rar»' arco di qualità umane: una fine dolcezza d'animo,

una delicatezza quasi femminile, ed un forte impulso

pratico, un senso del dovere in sè e per sè. un maschio

spiriti' organizzativi': e 111 mezzo l'ansia di tare, l’ansia

di vivere oprando, anche se il gesto non avrebbe

mai dovuto ostentarsi. Uomo mite e attivo in un

lavoro pacificamente nobile, uomo onesto per sè e

per tutti, uomo di vivacissime curiosità intellettuali e

di cultura assimilata — qualità ereditata dal padre

Tancredi Cialini berti giurista e uomo politico, e dalla

madre Alice Schanzer filologa valente e poetessa:

qualità coltivate nel caldo ambiente familiare, nella

tensione e nell'omaggio alle cose belle e pure — egli

era la rara creatura che contiene nell'imperativo della

bontà e del cuore ogni altro imperativo battagliero,

di cui la sua giovinezza pur ardeva tanto.

Aborriva l'intolleranza, il sopruso, la violenza.

E avrebbe aborrito la violenza in atto per tutta la

sua vita, se la rete di violenze che gli si ergeva intorno,

che stringeva al collo la nazione, non gli avesse im­

posto al momento dato l'unica morale accettazione e

decisione. 11011 gli avesse aperto tino in tondo — dal

pensiero filosofico alla vita, dall idealismo alla pratica,

dalla morale di pace a quella di guerra e alla politica,

e non d’ un determinato partito ma dell’idea repubbli­

cana — quel verbo di Mazzini che nella famiglia e

nello studio aveva formato la sua niente e il suo

spinto, che egli aveva sempre venerato e coltivato.

E Duccio Galimberti immediatamente tradusse quel­

l’ansia d’agire della sua vivace giovinezza e della sua

feconda virilità nell imperativo categorico dell azione:

pronta, decisa, sfidante, quasi assurdamente coraggiosa.

Per questo egli, che era sempre vissuto lontano

dalle pur meschine battaglie politiche dei suoi venti

c

trent anni, che aveva rinunciato con una modestia

Santuario dalla

Madonna defili AagaB.

e un assenteismo tutto di sdegno ad

o g n i

facile lustro,

che non aveva mai ostentato il gesto, per questo egli

il 26 luglio 43 dal suo balcone sulla piazza maggiore

di Cuneo che ora porta il suo nome, e subito dopo

nel famoso comizio di Torino, propugnò alla folla

quell imperativo, aprì a tutta l’ Italia la rivelazione

d una necessaria libertà. E per questo il 12 settembre

egli salì 111 montagna con 1111 pugno di compagni —

quel pugno che poi diventò la gran massa delle for­

mazioni partigiano piemontesi — per una guerra i|tia-

rantottesca .11 tedeschi e ai fascisti. Perchè l’ Italia, scoc­

cata l’ora della liberazione, tosse liberata 11011 solo

dagli alleati, stranieri: tosse liberata dagli Italiani.

L’avvocato Tancredi Galimberti junior, che per

anni sereni dal suo studio di Cuneo aveva svolto una

pacifica missione di aiuto alla società, ora divenne

« Duccio » e svolse nel pericolo nel sacrificio nella

lotta una missione altrettanto nobile di aiuto alla

nazione, ad 1111 paese di oppressi che dovevano ad ogni

costo redimersi e redimere dall'oppressione e dall’in-

vasione. Perchè la vita è missione, e tale va intesa a

seconda che comandino 1 momenti della storia: mis­

sione ora di pace, ora di guerra. Egli stesso il primo

nei pencoli e nelle azioni: un moderno Luciano Ma-

nara che. ferito il 13 gennaio 44. prima di lasciarsi

traspor

'spedale radunò tutto il suo reparto e

intonò I inno «Fratelli d'Italia». Ed anche il Duccio

familiare, chino 111 quella affettuosità di fratello e di

padre ai suoi uomini, che per Natale lo condusse, solo

attraverso quei monti che potevano assordare nella

neve l’eco dei mitra, a portare a tutti 1 raggruppa­

menti la parola dcH’augurio più caro, più desiderato

dai lontani focolari.

Se 1111 giorno la storia riuscirà a cancellare dalla

taccia della terra la figurazione fatale e stereotipa del-

1 eriu' 111 corazza e spada, 111 un’aurea età di pace e di

civiltà umana, per cui « ci devono esser stati anche dei

morti, anche dei capi che lian dovuto morire » come

dissi* Duccio stesso; se potrà così redimere l’eroismo

violento con quello compiutamente umano: allora

s illuminerà di nuova luce la scritta»

Regina an^iloruin...

Regina inanimili

» nella cappella della Madonna degli

Angeli dove Duccio riposa accanto al padre e alla

madre; sul cippo che segna lo strazio del corpo di

Duccio voleranno ancora le rondini tanto care a

qucU'anima serena, come dice la leggenda di Tetto

Croce.

a

. M. BON ISCONT I

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