

290
Capitolo V.
Il contegno del Blancardi aveva destato la riprovazione di tutti
i buoni e suscitato le giuste ire della famiglia del condannato,
potente per molte aderenze e cospicuo parentado.
La pubblica riprovazione dovette scuotere l'animo del Duca, che
pure aveva senso di giustizia, e se non valse a strappargli una parola
di condanna per l'atto iniquo da lui commesso, lo indusse almeno
a colpire l'artefice principale del mostruoso processo.
Era il Blancardi uno di quegli uomini acerbi, che per istinto e
per abitudine, dilacerano la reputazione altrui, senza ritegno nè
riguardo verso chicchessia: tracotanti e superbi vedono ingigantiti i
difetti altrui e non hanno coscienza della loro miseria morale.
Quando si accorse di aver perduto
il
favore del Duca, cercò di
riacquistarlo, chiedendo aiuto alle persone più potenti e sollecitando
udienze dal Duca, presso il quale gli premeva discolparsi. Il Duca
fu inesorabile; non volle riceverlo e gli scrisse deplorando di avere
investito dell'alto ufficio di Presidente un
Aretino.
«
Non metterete
più,
concludeva,
li
vostri piedi in Corte; state nel .vostro studio a far
il
mestiere di Presidente, non di pazzo come voi siete in effetto
»,
Egli era perduto, e quando tutti lo seppero tale, gli si volsero contro
come a cane arrabbiato. Il popolo d'Orbassano, dove egli aveva un
podere e dove per la sua natura malvagia aveva accumulato contro
di sè odii e rancori, gli disertò la possessione e ne diroccò la casa in
un impeto di violenza collettiva, che pareva riassumere e vendicare
tutti gli atti di crudeltà commessi per anni dal prepotente signore.
Arrestato ai primi di gennaio del 1675, sotto l'imputazione di
prevaricazione e di falsi, venne rinchiuso nella stessa cella che aveva
accolto il povero Catalano Alfieri. Nell'entrare in quella stanza, il
tristo, apparve turbato; ma quando vide sparse sul pavimento.alcune
gocce di sangue e lesse certe iscrizioni fatte col carbone sulle pareti
della cella, che gli ricordavano, con sinistra eloquenza, i patimenti e
la morte
della
sua vittima, il turbamento divenne angoscia e rimorso
terribile, che non ,gli dava requie nè giorno nè notte.
Supplicava lo sciagurato di esser tolto di là per non aver più sotto
gli occhi quel sangue e quegli scritti; ma nessuno gli dette ascolto;
dovette rimanervi per più d'un anno col suo dolore e col suo rimorso.
Poi, quantunque le accuse fattegli non venissero intieramente
provate, sotto il peso della esecrazione di tutti, vittima espiatoria di
una grande iniquità, fu spogliato di tutte le dignità, compresa quella
della laurea dottorale,
e
dopo l'applicazione della tortura, ai 17 di
marzo .del 1676, ebbe mozza la testa nei pressi della Cittadella.