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Capitolo V.

Il contegno del Blancardi aveva destato la riprovazione di tutti

i buoni e suscitato le giuste ire della famiglia del condannato,

potente per molte aderenze e cospicuo parentado.

La pubblica riprovazione dovette scuotere l'animo del Duca, che

pure aveva senso di giustizia, e se non valse a strappargli una parola

di condanna per l'atto iniquo da lui commesso, lo indusse almeno

a colpire l'artefice principale del mostruoso processo.

Era il Blancardi uno di quegli uomini acerbi, che per istinto e

per abitudine, dilacerano la reputazione altrui, senza ritegno nè

riguardo verso chicchessia: tracotanti e superbi vedono ingigantiti i

difetti altrui e non hanno coscienza della loro miseria morale.

Quando si accorse di aver perduto

il

favore del Duca, cercò di

riacquistarlo, chiedendo aiuto alle persone più potenti e sollecitando

udienze dal Duca, presso il quale gli premeva discolparsi. Il Duca

fu inesorabile; non volle riceverlo e gli scrisse deplorando di avere

investito dell'alto ufficio di Presidente un

Aretino.

«

Non metterete

più,

concludeva,

li

vostri piedi in Corte; state nel .vostro studio a far

il

mestiere di Presidente, non di pazzo come voi siete in effetto

»,

Egli era perduto, e quando tutti lo seppero tale, gli si volsero contro

come a cane arrabbiato. Il popolo d'Orbassano, dove egli aveva un

podere e dove per la sua natura malvagia aveva accumulato contro

di sè odii e rancori, gli disertò la possessione e ne diroccò la casa in

un impeto di violenza collettiva, che pareva riassumere e vendicare

tutti gli atti di crudeltà commessi per anni dal prepotente signore.

Arrestato ai primi di gennaio del 1675, sotto l'imputazione di

prevaricazione e di falsi, venne rinchiuso nella stessa cella che aveva

accolto il povero Catalano Alfieri. Nell'entrare in quella stanza, il

tristo, apparve turbato; ma quando vide sparse sul pavimento.alcune

gocce di sangue e lesse certe iscrizioni fatte col carbone sulle pareti

della cella, che gli ricordavano, con sinistra eloquenza, i patimenti e

la morte

della

sua vittima, il turbamento divenne angoscia e rimorso

terribile, che non ,gli dava requie nè giorno nè notte.

Supplicava lo sciagurato di esser tolto di là per non aver più sotto

gli occhi quel sangue e quegli scritti; ma nessuno gli dette ascolto;

dovette rimanervi per più d'un anno col suo dolore e col suo rimorso.

Poi, quantunque le accuse fattegli non venissero intieramente

provate, sotto il peso della esecrazione di tutti, vittima espiatoria di

una grande iniquità, fu spogliato di tutte le dignità, compresa quella

della laurea dottorale,

e

dopo l'applicazione della tortura, ai 17 di

marzo .del 1676, ebbe mozza la testa nei pressi della Cittadella.