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La vita e

il

costume torinese sul cadere del secolo

XVIIl

513

3. - Erano fondamento delle leggi civili e criminali in Piemonte,

le tradizioni del diritto romano e le costituzioni emanate da Vittorio

Amedeo II e da Carlo Emanuele III. Avevano tuttavia forza di legge

gli statuti locali, approvati dal Re e la giurisprudenza dei magistrati

supremi.

Verso la fine del secolo

XVIII

erano ancora assai numerosi i feudi

in Piemonte: Marchesati, Contee, Baronie o semplici Signorie. Vit–

torio Amedeo II aveva di molto diminuito i diritti feudali, obbli–

gando i vassalli a scegliere i giudici fra le persone esaminate e

approvate dal Senato, e conferendo ai Prefetti le facoltà di senten–

ziare in appello; ma permanevano ancora certi privilegi di caccia, di

pesca e di pedaggio, che venivano a crescere il peso, già grave e

oneroso dei tributi. Tali diritti al pari dei beni feudali potevano

essere ceduti a prezzo, previo il consenso del Sovrano e il paga–

mento del

lodo.

I possessori di feudi non pagavano imposta fondiaria; soltanto

in caso di guerra erano sottoposti ad una tassa detta

cavalcata,

che

veniva pagata in ragione del titolo più o meno elevato inerente alla

Signoria. Ad ogni cambiamento di Sovrano il feudatario aveva l'ob–

bligo di rinnovare

il

giuramento di fedeltà, e fare un nuovo censo

ogni qualvolta lo richiedesse il procuratore generale. In materia civile

era massima incontestabile e fondamentale che tutte le leggi romane,

non abrogate o modificate da editti Sovrani o da Statuti locali,

dovessero essere norma fissa alla giurisprudenza delle Corti supreme.

La podestà maritale era assai circoscritta e si limitava ai beni

dotali. Per i beni extra-dotali occorreva sempre il consenso della

moglie. Le donazioni tra i vivi erano sottoposte alla pubblicità. Nelle

successioni

ab intestato

si osservava il Diritto romano meno alcuni

casi speciali. Nelle successioni testamentarie, oltre i modi di disporre

per atto di ultima volontà, le costituzioni piemontesi avevano intro–

dotto questa forma del tutto nuova. Il testatore presentava in per–

-sona il suo scritto in carta bollata e sigillata al Senato, che lo depo–

neva in armadio chiuso a doppia chiave. In caso di malattia ne

avvertiva il Senato che mandava persona a ritirarlo. Avvenuta la

morte, il Senato ordinava l'apertura del testamento e la lettura in

pubblica seduta. Ai nobili soltanto era permesso istituire primoge–

niture e istituzioni fìdecommissarie. Poteva esser diseredato il figlio

che, contro la proibizione del padre o dello zio paterno, o a loro

insaputa, avesse contratto matrimonio indecoroso rispetto alla sua

condizione e disonorevole per la famiglia.

33 - BRAGAONOLO

e

BE1'TAZZI,

Torino nella storia del Piemonte e d'Italia.

vol.

II.