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Capitolo VIII.

Al teatro Regio si allestivano grandiosi spettacoli di Opera seria

e di balli coreografici. Alle

sei

precise si alzava la tela alla presenza

della Corte, che vi interveniva tutte le sere. Disponeva

il

Re di tutti

i palchi e li distribuiva fra le famiglie nobili e talora anche fra le

più cospicue del ceto borghese (fig. 133J.

Verso le dieci la rappresentazione era finita e gli spettatori chiu–

devano la loro giornata con la cena che li attendeva a casa.

A Torino, come del resto in tutte le città italiane di qualche

importanza, era aperto .un Casino di riunione edi divertimento, dove

si giuocava e ,si ballava, e dove

il

martedì e il venerdì di ogni setti- _

mana, avevano libero accesso le Dame di Corte e gli Ufficiali 'stranieri, ,

Questo vivere molle ed ozioso era: incentivo a' spese continue ed

eccessive che, per un malinteso decoro familiare, si dicevano neces- .

sarie: donde debiti sopra debiti ed ipoteche onerose, che lentamente

preparavano la rovina di vistosi patrimoni.

'

,

Era

an~ora

in vigore

il

privilegio del maiorascato, per cui gran

parte dei beni paterni rimanevano al primogenito, e ai cadetti era

fatta

necessità

di trovar da vivere negli impieghi, nella milizia, nel

sacerdozio. Niun'altra via era aperta ad essi; un nobile che si facesse

affittuario di terre o esercitasse iridustria faceva sfregio al' decoro

degli avi e alla sua persona. Poteva bensì un patrizio mettere un

suo capitale in una industria o in un negozio; non già darvi la sua '

prestazione personale.

Più fortunati i cadetti che entravano nell'esercito o nella carriera

ecclesiastica che non quelli che erano costretti ad accettare un impiego;

perchè, mentre ai primi erano riserbati i più alti gradi della milizia

e della curia, questi ultimi, per la eseguità degli stipendi, sentivano

duramente

il -

disagio presente in confronto della passata agiatezza.

I giovinetti dell'aristocrazia si compiacevano di giuochi e spassi

assai curiosi, anche perchè, in qualche modo contrastavano con la

mollezza del costume e avvezzavano al rischio e alla fatica.

Ora si divertivano a venir 'giù, a rotta di collo, per una .strada

scoscesa, che dall'Eremo precipitava fino a Torino; ora facevano la

caccia al cervo, inseguendo un servitore a cavallo, che facendo le

. parti della fiera, fuggiva attraverso i boschi del Po e della Dora, e

lo inseguivano con grida e scoppiettii di frusta, guadando fossi e

passando a guazzo

il

corso della Stura. '

Il popolo anch'esso aveva i suoi spassi: la battagliola (V. vol. I,

p. 903), le corse di cavalli, di muli, di buoi inebbriati di vino, gli

alberi di cuccagna, il tiro al bersaglio,

il

gioco del pallone.