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Capitolo VI.
delle sue forze e occupando le fortezze che meglio giovassero a ' suoi
piani militari.
Per la qual cosa il Louvois spedì nel Deltinato 18 mila uomini,
sott o colore di muovere contro i Valdesi , quindi chiese a Vittorio
Amedeo un aiuto di 1800 uomini, e ne ebbe 500 soltanto.
Richiese poi, come un'imposizione, che si prov vedessero alloggi
e viveri pel passaggio .delle sue truppe in Lombardia, dove si reca–
vano a fronteggiare gli Alleati. E senza frapporre indugio, sette mila
solda li fran cesi entrarono in Piemonte, e ai 9 di maggio del 1690 si
accamp arono nei pr essi di Avigliana.
Di qui , conforme agli ord ini ricevuti dal suo Signore, ch iedeva il
Catina t gli si mandasse un Ministro del Duca, per significargli le
int enzioni del Re di Francia. Fu invi ato il Marchese Ferrero Della
Marmor a, cui il Catinat richi edeva 3 mila uomini a piedi e 800 a cavallo,
per mandarli di là dai monti, soggiungendo che
il
suo Monarca aveva
motivo di credere che Vittorio Amedeo II trescasse con i suoi nemi ci.
Il Duca , colto così all'impensata, dovette cedere, tanto più che ' il
generale fran cese non conce deva che 24 ore a rispondere .
Tanta l'emissione per parte del Principe piemontese non bastava
ancora: il Catin at, giunto frattanto a Orbassano, faceva sapere alla
Corte di Torino che egli aveva da fare ' altre commissioni al Sovrano.
Vi andò questa volta l'Abate di Verrua, che si sentì chiedere oltre
le truppe già dette, l'o ccupazione del forte di Verrua e della Citta–
della di Torino.
Cedere su quest e domande sarebbe ,stato lo stesso che consegnare
la sovranità e perder l'o ccasione propizia di spezzare i vincoli di una
protezione fran cese, che aveva ormai tutti i caratteri della più esosa
estors ione . Ma d'altra parte come opporsi al Catinat mentre l'esercito
non era pronto e gli Imperiali lontani "? ,
Fu in qu esta circostanza che cominciò a rifulgere la grande
abilità politi ca di Vittorio Amedeo (fig. 85) inesauribile nel cer car '
ripi eghi e provvèdimenti -efficaci a stornar peri coli e vincer difficoltà.
I corti giani non mancavano, per amor del quieto vivere, di dargli
consigli di moderazione e di prudenza; ma il Duca per sua fortuna
e del Piemonte non li ascoltò: egli sentì il do vere supremo di ribel–
larsi alle imposizioni stra niere e rivendicare la sua ,liber tà d'azione
e ad un tempo pro vvedere alla sua dignità.
«
Da molto tempo mi trattano per vassa llo
.-
egli disse -
ora mi
trattano come paggio ..
è
venuto
il
tempo di mosirarm; Principe libero
e onorato
».