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Capit olo V.

e.

C'è espress a un a certa ostinazione - scrive il De Amicis - in

« quella conformità, c'è un 'id ea di schiette zza in qu ello sdegno d'ogni

« os tentazione, un cer to indizio di pro cedere aperto in qu ella ampi ezza

«

di spazi, una perseveranza che va diritta allo scopo in quella ret–

«

titudine di linee ».

«

Non c'è come a Firenze, il piccolo croci cchio, l'angoletto, la

«

piazzetta, dove ognuno pare a casa sua, dove è possibile il dialogo

«

tra la strada e la finestra, e la fermata d'un'ora colle spalle alla

« cantonata. Qui c' è per tutto la città aperta; larga, pubblica, che

«

vede tutto, che non si pr esta al crocchio, che inte rrompe le conver–

« sazioni intime, che dice continuamente come il poliziotto inglese :

« -

Circolate , lasciate pa ssare, andate

pe ' ,

vostri affari. - Chi gira per

« la citt à a un cer to punto sente un po' di sazietà ; l'artista. si rivolta

« contro ·qu ella regolarità compass ata. S' ha la testa così piena di

« a ngoli retti, di parallelismi, di simmetrie, di analogie, che, per

« dispett o si vorrebb e poter scompigliare tutta quella geomet ria con

« un colpo di ba cchetta fatata che mettesse Torino sott osopra

» ,

«

Ma a poco a poco, come certi moti vi monotoni, che a furi a di

«

sent irli ripetere, ci si fissano nella testa con irresistibile simpatia,

«

così quella regolarità a grado a grado fa forza al gusto e soggioga

« la fantasia. Si prende amore a quell a uniformità che lascia la

«

mente libera , a qu ella specie di dignità edilizia, non ancora offesa

« dall'insolenza ciarlatanesca della

réclame

colossale, a quelle corri–

«

spondenze di pro sp etti, che s'indovinano prima di vederli, a quella

« nett ezza rigoro sa , a qu elle vie lun ghissime in cui sens ibilmen te il

«

passo s'affretta, lo sguardo s' acumina, il petto si dilata, la mente

e

si risch ia ra, alle grandi piazze e ai grandi giardini che fanno qua

« e là un largo squarcio imp rovviso pieno d'aria e di verde, nella

«

rete uggiosa delle st rade gemelle

» ,

Siffatto caratte re cominciò a pre nde rlo, come abbiamo già detto,

dai pr ovvedimenti edilizi di Carlo Emanuele I e dei suoi successori,

cui tenn e dietro l'opera dei privati e segnatamente dei nobili che

vollero edificati i loro palazzi secondo i disegni fasto si del tempo.

Torino in tal modo andava trasform andosi, e la vecchia città medioe–

vale cedeva a poco a poco alle nuo ve esigenze estetiche e ai bisogni

dei nuo vi costumi.

Il Conte Carlo Castellamonte, a cui tenne dietro il figlio Amedeo,

il Conte Maurizio Valperga coi figli Maurizio e Antonio, il modenese

padre Guarino Guarini, l'Abate Andrea Costaguta, il Lanfranchi, per

non citare che i principali , furono gli architett i del secolo

XVII,

che

'I